Dying for Sex: un piccolo gioiello di cui godere  

Regia: Shannon Murphy
Genere: Commedia/Drammatico
Episodi: 8
Anno: 2025

Disponibile dal 4 aprile su Hulu (Disney+) e basata sull’omonimo podcast, Dying for Sex sembra essere una di quelle serie di cui ci si accorge quando è troppo tardi, una di quelle che si riscoprono nel tempo.

Composta da 8 episodi di circa trenta minuti ciascuno – una formula decisamente vincente e sempre più utilizzata –  la serie racconta gli ultimi mesi di vita di Molly (una straordinaria Michelle Williams) che, dopo anni di lotte contro il cancro, scopre che la malattia è tornata ed è incurabile.
Dopo lo shock e la paura iniziale, in Molly prende vita in modo sempre più nitido, chiaro il desiderio di godere nel miglior modo possibile dei giorni che le restano… e di “godere” nel senso più vivo della termine. Bloccata in un matrimonio in cui il marito non riesce a soddisfarla sessualmente, in cui è vista come nient’altro che una paziente, una “vittima del cancro” di cui prendersi cura (e in modo quasi ossessivo), Molly decide di lasciare il marito e di passare gli ultimi mesi che le restano da vivere sperimentando sessualmente tutto ciò che si è sempre negata, e per i traumi della sua infanzia e per paura del giudizio degli altri. Il cancro è all’ultimo stadio, le metastasi sono ovunque e Molly sa bene di non poter concedersi quelle follie che pure vorrebbe prima di morire e, dunque, il suo viaggio sarà tutto sessuale alla ricerca di quel piacere che a lungo si è negata e che le stato negato.

Al suo fianco, in questo caotico viaggio affrontato con il cinismo e quell’umorismo nero che la contraddistingue (e che le permette di convivere con la paura della morte), ci sarà la terapeuta Sonya (Esco Jouley), il Dottor Pankowitz (David Rasche) e la sua sbadatissima miglior amica Nikki (una bravissima Jenny Slate), a cui si alternano una serie di amanti più o meno bizzarri e impacciati.

Ma dietro l’ilarità delle esperienze sessuali di Molly, Dying fo Sex nasconde temi ben più delicati e complessi, trattati con altrettanta delicatezza e cura. Perché  se è vero che la morte spaventa più o meno tutti, se è vero che veder morire le persone amate è un’esperienza straziante, è pur vero che, spesso, nell’affrontare quelle oscure presenze che sono la morte e la malattia, ci si dimentica dell’essere umano. Quello di Molly, infatti, non è solo un ultimo tentativo per sentirsi viva nella sua vita è anche, se non soprattutto, il tentativo di cambiare la percezione che si ha della malattia e del “paziente”. Molly non vuole essere vista né trattata come una vittima («non guardarmi con quello sguardo» dirà, «non con pietà») ma come una donna con ancora i suoi desideri sessuali intatti. Molly sembra dire che sì, il sesso va bene anche così, con un corpo “guastato” dalla malattia. Non ha paura di dire le parole cancro e morte, non da loro dei sinonimi per rendere il tutto più “semplice” e, in questo suo viaggio verso l’ultimo capitolo della sua vita, aiuterà le persone che le stanno accanto ad accettare la drammaticità del reale e questa farsa che sembra essere la vita.

Ma c’è di più perché a percorrere quel percorso difficile che porta alla morte, non c’è solo Molly. Dying for Sex, infatti, offre uno sguardo doloroso e amaro sulla cecità e l’egoismo che talvolta acceca il “malato”; uno sguardo sul dolore degli altri, di chi assiste, di coloro che sono destinati a restare, di coloro che per amore decidono di annullarsi, di mettere in pausa la propria vita per le persone che amano; uno sguardo crudo su quanto una malattia, per quanto affrontata con cinismo o umorismo, non risparmia le vite di chi resta, stravolgendole.
E il tutto, in soli trenta minuti (circa) per episodio.

Quello che stupisce, infatti, di questa serie è la maestria con la quale si è saputo gestire ed equilibrare i momenti comici e quelli drammatici, nell’averli saputi intrecciare nel modo giusto al momento giusto: non c’è scena comica che non sia profondamente drammatica nella sua essenza e non c’è scena drammatica che, alla fine, non ci strappi un sorriso, se non addirittura una piacevole risata. E alla fine della corsa ci accorgiamo che non abbiamo bisogno né di un minuto di più, né di uno in meno, vorremmo solo – come le protagoniste di questa storia, come Nikki, come chiunque abbia perso qualcuno che si è amato – avere avuto più tempo con Molly.  

Classificazione: 4.5 su 5.