Regista: Jacques Audiard
Genere: Drama/Musical
Anno: 2024
Durata: 132 minuti
Città del Messico. Rita Mora Castro (Zoe Saldaña), squattrinata ed esausta praticante di uno studio legale, riesce a far assolvere – complice una dilagante corruzione che coinvolge i piani alti dello studio – un importante cliente accusato di un omicidio (che – spoiler – ha commesso). Seppur lontana dai riflettori, Rita attira l’attenzione di uno sconosciuto che, con una telefonata anonima, le offre, dietro compenso, un impiego. Di cosa si tratta realmente, non le è dato sapere ma, affranta dalla mole di lavoro e dallo scarsissimo riconoscimento dello studio legale per cui lavora, Rita accetta l’incontro con lo sconosciuto.
L’uomo, scoprirà poi, è il boss del narcotraffico Juan Manitas Del Monte (Karla Sofìa Gascòn) e l’ “impiego” per il quale è stata assunta è di aiutarlo a ritirarsi dai suoi affari e sparire, avendo cura di proteggere sua moglie Jessi (Selena Gomez) e i suoi figli. Manitas, dopo anni di ripensamenti e paure, ha in programma di sottoporsi a un intervento per il cambio sesso: l’avvocato, dunque, dovrà sì aiutarlo a sparire ma anche a trovare qualcuno che sia disposto a farlo “rinascere”. E Rita accetta.
Passano quattro anni e Manitas non esiste più… o quasi. Al suo posto c’è Emilia Pèrez che si rimette sulle tracce di Rita per riavere con sé sua moglie Jessie e i suoi figli, a Città del Messico. Ancora una volta, Rita accetta. Da qui, gli eventi prenderanno una piega inaspettata per le due donne che trovano, nella nuova vita di Emilia, una possibilità di riscatto per sé stesse e per una città apparentemente prossima al collasso.

Raccontata come una storia di tentata redenzione e, neanche a dirlo, di rinascita (in qualunque modo la si voglia intendere), Emilia Pèrez è, dunque, un racconto sulle seconde possibilità da cogliere e in alcuni casi da creare per sé stessi e per gli altri. Ma basta davvero il solo cambio sesso e qualche sporadica “buona azione” a redimere quella figura, presentataci come spietata, che era Manitas? Ovviamente, no ma c’è un qualcosa in più. Emilia Pèrez sembra dirci – o, forse, ricordarci – che spesso, nella vita, complice i contesti familiari, sociali o culturali, non si può realmente parlare di “libera scelta”. E no, non è una questione di identità di genere.
Pur non avendo un chiaro retroscena sul passato di Manitas/Emilia intuiamo che, forse, questo personaggio non ha mai davvero scelto di essere un narcotrafficante, piuttosto, in un contesto sociale in cui lo Stato (che dovrebbe tutelare i suoi cittadini) e cartelli della droga (che della povertà dei cittadini si serve) convivono, si mescolano e insieme tengono sotto scacco un intero paese, la scelta era tra vivere o morire. Tuttavia questo confine – tra scelta voluta e imposta – resta estremamente sottile, fragile. Ed è qui entra in gioco il personaggio di Rita Mora Castro: esattamente sulla linea di confine.
A fronte di anni di studio, di sacrifici, di una vita spesa sui libri, con un lavoro mal pagato e sotto l’influenza di persone moralmente ed eticamente corrotte, Rita – ormai completamente disillusa – non ha nulla da perdere e tutto da guadagnare dalla sua affiliazione con Manitas (prima) o Emilia (poi). Di fatto, Rita ci mostra (o, meglio, ci canta) un’altra straziante verità e cioè che il male esercita, inevitabilmente, più fascino del bene; che, a fronte degli innumerevoli scrupoli di coscienza, il potere esercitato e quello offerto dal male è così appetibile che fa gola anche a chi, di ideali e di scelte ne aveva … proprio come lei. Ma anche che, forse, il male va combattuto con i suoi stessi strumenti. E arriviamo, dunque, alla scena del Gala, tra le migliori e più iconiche del film.

A seguito di un incontro fortuito con una donna il cui figlio era stato dichiarato scomparso e che, in realtà, Emilia sapeva già morto, l’ex boss decide di fondare un’associazione che aiuti le famiglie messicane a recuperare i cadaveri dei loro cari tra le fosse comuni che i narcotrafficanti avevano seminato nel territorio nazionale (redenzione/altra scelta). Per farlo, tuttavia, Emilia ha bisogno di qualche soffiata dai suoi vecchi “collaboratori” e ingaggia nuovamente Rita per pagare le informazioni che le occorrono. In più, hanno bisogno di fondi, e tanti. Dunque Emilia sfoglia la sua vecchia “rubrica” e invita a un gala tutta l’élite messicana. Alla cena, Rita riconosce molti dei suoi vecchi clienti dello studio legale. “C’è qualcuno che non sia corrotto?”, chiederà a Emilia. “Sono le sole persone ricche che conosco”, risponderà lei.
Il chimico, “ministro di qualcosa” che ha fatto uccidere il proprio socio e tutta la sua famiglia, sciogliendo i cadaveri nell’acido; un giudice che aiuta a sottrarre bambini alle proprie famiglie, vendendoli ai narcotrafficanti e archiviando i casi per mancanza di prove; un ministro dell’istruzione che chiede e raccoglie fondi per delle scuole che non sono state e non verranno mai costruite, a favore dei suoi hotel di lusso, sono solo alcune delle figure presenti a quel gala e che «parlano, parlano e che adesso pagheranno», canta una magnifica Zoe Saldaña, evidenziando, di fatto, l’amara consapevolezza di quanto “el mal” (questo il titolo della canzone che anima la scena) non solo non riesca a essere estirpato ma trovi sempre nuovi modi per proliferare, adattandosi come un parassita alla società che lo ospita. E dunque, se non lo si può estirpare, perché non sfruttarlo a proprio favore?

In questa consapevolezza, pur con toni sfocati e sempre in bilico tra ciò che è giusto e il suo contrario, tra ragione e violenza, Emilia e Rita hanno dunque scelto – forzate o meno dagli eventi – una strada non lineare per un processo verso la redenzione, abbracciando, di fatto, quell’inevitabile compromesso tra ciò che si è stati e ciò che si sceglie di voler essere, quando circondati da un male dilagante.
E non lineare è anche lo strumento del musical che fa, di questa pellicola, un dramma, una commedia e una telenovela insieme, facendosi carico di temi complessi e che, tra alti e bassi (non ultima, una forte accelerata sul finale che non lascia il tempo di realizzare quanto sta realmente accadendo e, soprattutto, non valorizzando il personaggio di Selena Gomez), trovano la loro giusta collocazione, facendone un prodotto singolare (anche solo per aver portato in musica il tema della vaginoplastica), lasciandosi guardare con piacere.