Mickey17: se il futuro è già qui

Regista: Bong Joon Ho
Genere: Science Fiction/Avventura
Anno: 2025
Durata: 137 min

Se c’è una cosa a cui i registi coreani – e il cinema orientale, in generale – ci hanno abituato nel corso degli anni è a non aspettarsi necessariamente film che desideriamo vedere; al racconto, cioè, di una realtà più cruda e brutale (talvolta in senso fisico) di quanto, alle volte, si è in grado di sopportare. Anche, se non soprattutto, per quella critica sociale senza troppe “edulcorazioni”, o quel senso di rivalsa (molto occidentale e soprattutto molto americano) che sembra puntare il dito verso lo spettatore suggerendogli che “sì, anche tu puoi farcela”, “se vuoi, puoi”.

Una retorica valida, certo, per i più ottimisti e che invece si scontra con una realtà ben diversa: ed è, forse, per questo che, istintivamente o meno, scegliamo quelle pellicole che ci permettano di fuggire il più lontano possibile dalla stessa realtà, lasciandoci “stupire”, di tanto in tanto, dai quei coreani che sembrano, invece, riportarci indietro, sulla terra ferma.

Ed era quello che ci si aspettava, in un certo qual modo, di assistere vedendo Mickey17 del coreano Bong Joon Ho, regista che ci aveva sì abituato a pellicole amare e sempre sul filo – dal punto di visto etico-morale – come  Parasite (premio Oscar nel 2020) e Memorie di un assassino (2003), ma anche a pellicole distopiche e di stampo più occidentale come Okja (2017) e Snowpiercer (2013), filone in cui si inserisce appieno il suo ultimo lavoro.
Eppure… è esattamente il film che non ci aspettavamo di vedere, nel bene e nel male. Ma facciamo ordine.

In un futuro che è già quasi presente, Mickey Barnes (Robert Pattinson), giovane ragazzo con fallimentari idee imprenditoriali, si candida come ‘persona sacrificabile’ (una cavia) in una propagandistica missione spaziale, per fuggire da un boss della malavita con il quale ha qualche conto in sospeso. Tutto quello che Mickey dovrà fare, nei quattro anni di spedizione intergalattica che seguiranno è… morire.
Grazie a un processo di clonazione del sua persona (con tanto di ricordi immutati e immutabili) che gli consentirà di tornare in vita, Mickey dovrà morire tutte le volte che gli verrà chiesto di farlo. Ma cosa accade se, per sbaglio, viene creato un clone in più? Chi stabilisce chi è sacrificabile?

Ancora una volta, dunque, il regista coreano ci pone di fronte a quesiti etico-morali da affrontare e no, non si tratta di scegliere chi preferiamo tra Mickey17 o Mickey18. Si tratta di scegliere che uso vogliamo fare della tecnologia a nostra disposizione e da che parte vogliamo stare in una società – di cui la navicella spaziale non è che un microcosmo – che vede l’uomo morire per e di lavoro; che vede il più debole piegarsi sempre più al potere che sa di non poter combattere; che vede la ribellione del singolo (prima) e della comunità (poi) come atto sociale, davanti a figure di potere grottesche, caricaturali, marionettistiche, vampiresche e ridicole (impersonificate, in questo caso, dalla coppia Mark Ruffalo e Toni Collette ma a cui si possono sostituire, profeticamente e senza alcun dubbio, Trump e Musk). Si tratta di scegliere da che parte vogliamo stare e cosa siamo disposti a sacrificare quando in gioco c’è lo sterminio di una “razza”.

Che, dunque, questo film porti con sé molti di più temi di quanto non dia a vedere a una prima e veloce occhiata, è indubbio. Eppure, ancora una volta, il regista coreano ci ha mostrato qualcosa che non ci aspettavamo di vedere, nel bene – perché la portata dei temi di cui si fa carico riesce a essere profeticamente attuale, superando il genere che ha scelto di utilizzare  – e nel male – perché manca di quell’impatto, di quel coinvolgimento emotivo che pure sappiamo essere possibile (per il regista) e che avrebbe dato la spinta all’intera pellicola.

Nel complesso, dunque, Mickey17 potrebbe non essere tra i film più riusciti del regista coreano dal punto di vista della memorabilità, pur restando, di fatto, un’analisi cinica e grottesca di una società di cui, nonostante le apparenze, già facciamo parte. E, forse, che il suo punto di forza sia tutto qui: a ricordarci di quanto la distopia dell’automazione e della disumanizzazione abbia già preso il via.
Resta da chiedersi, però, in assenza di un Mickey Barnes da usare come cavia, cosa siamo disposti a fare… Chi o cosa siamo disposti a sacrificare.

Classificazione: 3.5 su 5.