The Substance: uno e nessuno

Regista: Coralie Fargeat
Genere: Horror/Science Fiction
Anno: 2024
Durata: 141 minuti

In una Los Angeles soleggiata e claustrofobica, nel giorno del suo cinquantesimo compleanno, Elisabeth Sparkle (una grandissima Demi Moore) ex stella di Hollywood, viene licenziata dallo studio televisivo per il quale lavora. Il produttore, un disgustoso tale di nome Harvey (Dennis Quaid) – un nome a tutti vagamente familiare – ha deciso di rinnovare il palinsesto televisivo con un volto (e una fisicità) più giovane. Come se non bastasse, oltre l’umiliazione subita, sulla strada di casa Elisabeth è coinvolta in un incidente stradale.

Portata in ospedale, la donna si scopre miracolosamente illesa ma ancora psicologicamente provata. Lì, lontano da occhi indiscreti un infermiere prova a suggerirle una soluzione ai suoi problemi lasciandole, nella tasca dell’impermeabile, una penna usb – su cui leggiamo The Substance – e un biglietto («Mi ha cambiato la vita»).
Scopriamo ben presto che “la sostanza” cui siamo stati introdotti fin dai primi minuti, è un siero che attiva un processo di clonazione e ringiovanimento: l’alter-ego sarà «un’altra e migliore versione» della persona che decide di iniziare il trattamento.

Produrrà un’altra versione te.
Una versione più giovane, più bella, più perfetta.
Un equilibrio perfetto di sette giorni per ciascuna.
Semplice, no?
Se rispetti gli equilibri cosa potrà mai andare storto?
L’unica cosa da non dimenticare: Tu. Sei. Una.

Dopo qualche ripensamento, Elisabeth accetta di prendere parte all’esperimento e dalla sua “costola” (più o meno…) nasce Sue (Margaret Qualley). E sì… come ogni horror che si rispetti va tutto storto. Ma che sia un horror diverso da quello che ci potevamo aspettare di vedere lo si capisce fin dai primi minuti. Non c’è la tensione che ci si aspetterebbe, le atmosfere sono quelle riconoscibili e assolate della California (e, quindi, forse, ancor più inquietanti), gli spazi asettici e freddi ma non per questo meno spaventosi di uno studio televisivo.

I continui richiami a Kubrick, i colori “alla Shining” e l’occhio della telecamera sempre presente anche quando apparentemente assente (a cui si aggiunge, per un po’, la colonna sonora) di 2001. Odissea nello spazio, inoltre, suggeriscono che forse il corpo è centrale ma non troppo; che c’è qualcosa di sinistro, qualcosa che non torna e che, inevitabilmente, avrà delle conseguenze; che al di là dei corpi c’è dell’altro.

E che il corpo sia centrale in questa storia, e che questa sia una critica sulla strumentalizzazione, sessualizzazione e controllo dei corpi è, di fatto, piuttosto evidente. Come è evidente, del resto, che Hollywood – con i suoi nocivi standard di bellezza – non sia che un microcosmo e specchio di una realtà e/o società più ampia che dei corpi (e della loro sessualizzazione) ne fa un bene di consumo. The Substance, infatti, gioca su un claim pubblicitario perfetto. Tutto ruota attorno ai colori, alle grafiche, ai font più usati e amati dal pubblico dei social, “creatori” per eccellenza di immagini e nuovi standard e, al contempo, consumatori voraci.

The Substance, dunque, riesce sì a essere una riflessione sui corpi e sull’immagine che, di questi, si dà e si ha, ma anche una riflessione sul costante bisogno di attenzione e di accettazione, di poter essere visti per poter esistere (telecamere, manifesti, copertine etc.); su questa droga che sono gli occhi degli altri che sembrano gratificare e giustificare lo sforzo dell’iniezione; su questa droga che è la ricerca della forma perfetta e di cui si ha un bisogno sempre maggiore quanto più sembrano cambiare gli standard di bellezza.

E come tutte le droghe, anche questa sostanza logora, fisicamente e non, le due protagoniste che, da un unico armonioso essere, finiscono per divorarsi l’un l’altro (in un magnifico testa a testa tra le due attrici che tengono le redini di tutta la pellicola), consumate dall’odio reciproco che, di fatto, non è che l’odio per sé stessi («Tu. Sei. Una»), per le scelte sbagliate e per la delusione che ne è derivata, per quelle forme che abbiamo assunto pur di sopravvivere e che ci disgustano, per il tempo  che ci è stato sottratto o che sentiamo di aver perso, alla ricerca della “versione migliore di sé” che, poi, migliore non era.

E, forse, The Substance è soprattutto questo, un invito a riflettere su quanto può costare, in termini di dignità, vita e vitalità, la ricerca della versione migliore di sé;  che se, come Sue, ne pretendiamo ancora, e ancora o peggio, distruggiamo  – metaforicamente e non – la versione di noi “giurassica”, piena di difetti ma essenzialmente vera, allora forse non ci resta che l’immagine decadente e mostruosa. Perché non c’è equilibrio che tenga quando la perfezione diventa ossessione, e non c’è sostanza abbastanza potente da colmare il vuoto di chi, per inseguire un’immagine, finisce per non essere più nessuno. 

Classificazione: 3.5 su 5.